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Brevi cenni sul significato e gli scopi dell'Alchimia

Ultimo Aggiornamento: 05/06/2022 21:13
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È difficile dire in poche parole che cosa sia l’Alchimia, tanto più che durante il corso della sua storia essa ha subito non poche trasformazioni.
In realtà la parola "trasformazione" è ciò che più si avvicina ad una sua definizione, l’Alchimia è appunto la scienza della trasformazione e ne studia i suoi processi, sia che si tratti di processi inerenti all’uomo, sia che appartengano alla natura.
Lo scopo principale dell’Alchimia è appunto quello di comprendere questi processi e di utilizzarli a vantaggio dell’uomo e si tratta sempre e comunque di trasformazioni verso il meglio, si tratti di trasformare il piombo in oro o di trasformare l’uomo in dio.

Nel 1330 Pietro Bono da Ferrara definì il lavoro dell’alchimista "ricerca di ciò che non c’è ancora".
I più antichi testi di Alchimia a noi pervenuti affondano le radici nell’antichità e sono redatti in lingua greca, sebbene spesso siano stati composti in terra egizia.
Gli scritti si conservano in poche copie bizantine del X-XI secolo, la più famosa delle quali è costituita dal Codex Marcianus gr. 299 (Biblioteca Marciana, Venezia).
Con l’espansione dell’Islam anche l’Alchimia, insieme al resto della letteratura greca, giunse in mani arabe, e fece, in quel contesto, decisivi passi avanti.

L’Europa latina venne a conoscenza dell’Alchimia solo nel XII secolo grazie alle traduzioni dall’arabo realizzate in Spagna e in Sicilia e la nuova scienza si diffuse come un incendio, nacquero manuali e apologie, perché, di pari passo con la sua diffusione, l’Alchimia vide aumentare anche il numero dei suoi oppositori.

Nel XIV e XV secolo vengono composti nuovi testi che si connotano espressamente come alchimia europea, e, per la prima volta, si incontrano opere in volgare.
Sulla scia di Paracelso l’alchimia diviene campo di battaglia di concezioni della scienza e del sapere diverse e inconciliabili tra loro, aprendo la strada ad una nuova medicina.
Prima di essere accantonata in epoca illuminista perché ritenuta superata, la ricerca alchemica produce ancora raccolte monumentali e innumerevoli traduzioni di tutti gli antichi testi della sua tradizione.

L'alchimia è l'arte della trasformazione, l’Ars Magna, praticandola noi saremo in grado di poter produrre tutta una serie di mutamenti nella materia, oggetto del nostro lavoro, per poterla elevare ad un nuovo stato, dal grezzo al sottile, dal metallo vile all'oro.
Questo però non è il vero significato di quanto si è letto, questo è solo il significato letterale delle parole, ciò che appare a chi non sa, il vero significato è simbolico e sta a rappresentare il lavoro che ognuno di noi deve operare su se stesso quando ci si prefigge di raggiungere la conoscenza e la piena coscienza del Se.

Secondo l'ipotesi più accettata, la parola Alchimia deriva, dall'arabo al-kimia oppure dall’egizio al-chem ed il suo significato etimologico è quello di "scienza della terra nera", ossia della materia primordiale. Gli istinti dell'uomo fanno parte di questa energia primordiale.
Contrariamente a quanto molti credono, l'Alchimia non era l'antica arte spagirica, l'arte, cioè, di fare composti medici e chimici, ma era ed è, soprattutto, l'Arte della trasformazione e dell'elevazione spirituale.
Il lavoro alchemico consiste principalmente nell'operare, interiormente, su queste energie primordiali, indirizzarle, svilupparle e sublimarle fino a raggiungere la piena conoscenza e nel compiere questo lavoro l'alchimista diviene partecipe del lavoro di perfezionamento della Natura.

L'alchimista, nel portare avanti il suo lavoro, si avvale di tre principi, lo zolfo, il mercurio ed il sale, nel suo Athanor, il forno degli alchimisti che fornisce il fuoco indispensabile per produrre ogni trasformazione, egli cuoce i suoi materiali e sorveglia la giusta intensità della fiamma che dovrà essere costante e non dovrà spegnersi mai.

Lo scopo finale del lavoro alchemico è quello di produrre la Pietra filosofale, l'Elisir, la Tintura, grazie alla Pietra, il metallo vile si trasforma in oro, le passioni umane, cioè, sublimano in fuoco spirituale.
Nel ricercare la fusione di questi principi dentro di se, nel ricercare la seconda nascita, l'alchimista collabora a portare a compimento i disegni della Natura.

L’Athanor e la fucina alchemica, rappresentano l’animo umano, i tre Principi, invece, le energie presenti nel macro e microcosmo.

Lo Zolfo è il principio attivo, il Mercurio è quello passivo ed il Sale è ciò che lega i due Principi.


[Modificato da Ash. 05/06/2022 10:51]
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La Porta Alchemica, detta anche Porta Magica o Porta Ermetica o Porta dei Cieli, è un monumento edificato tra il 1655 e il 1681 da Massimiliano Savelli Palombara marchese di Pietraforte (1614-1685) nella sua residenza, villa Palombara, sita nella campagna orientale di Roma sul colle Esquilino, più o meno in corrispondenza dell'odierna piazza Vittorio Emanuele II, nei cui giardini oggi è stata collocata.

La Porta Alchemica è l'unica sopravvissuta delle cinque porte di villa Palombara. Sull'arco della porta perduta sul lato opposto vi era un'iscrizione che permette di datarla al 1680; vi erano poi altre quattro iscrizioni perdute sui muri della palazzina all'interno della villa.



I simboli incisi sulla Porta Alchemica possono essere rintracciati tra le illustrazioni dei libri di alchimia e filosofia esoterica che circolavano verso la seconda metà del Seicento, e che presumibilmente erano in possesso del marchese Palombara.

In particolare il disegno sul frontone della Porta Alchemica, con i due triangoli sovrapposti e le iscrizioni in latino, compare quasi esattamente uguale sul frontespizio del libro allegorico/alchemico Aureum Seculum Redivivum di Henricus Madatanus (pseudonimo di Adrian von Mynsicht, 1603-1638).[6] Il frontespizio dell'edizione originale del 1621 è molto diverso: infatti il disegno a cui si ispirò il Palombara compare esattamente solo nell'edizione postuma del 1677. Sul frontone della Porta Alchemica è rappresentato in una patacca il sigillo di Davide circoscritto da un cerchio con iscrizioni in latino, con la punta superiore occupata da una croce collegata ad un cerchio interno e la punta inferiore dell'esagramma occupata da un oculus: il simbolo alchemico del Sole e dell'oro. Il fregio rappresenta un simbolo dei Rosacroce riportato in molti testi del Seicento e compare forse per la prima volta sul frontespizio del libro Aureum Seculum Redivivum.

Il triangolo con l'oculus è molto simile ad un analogo simbolo di una piramide con la punta occhiuta, che compare sulle banconote statunitensi da un dollaro, fra l'altro accompagnato da una scritta in latino Novus Ordo Seclorum che richiama la scritta sul frontone Aureum Seculum Redivivum. La specifica piramide usata nel simbolo americano è tratta dalla Pyramidographia, un volume pubblicato nel 1646 a Londra da John Greaves (1602-1652) dopo un viaggio in Egitto, e pertanto è ipotizzabile un'ispirazione comune dall'immagine in questo testo sia del frontespizio del libro Aureum Seculum Redivivum, come anche del simbolo che compare sulla banconota statunitense. Tale simbologia fu adottata dagli Illuminati di Baviera, che nacquero circa cento anni dopo la pubblicazione del testo esoterico in Germania del 1677. Sia gli Illuminati sia la simbologia della banconota da un dollaro alimentano tutta una corrente di ipotesi sulla teoria del complotto.

I simboli alchemici lungo gli stipiti della porta seguono, con qualche lieve difformità, la sequenza dei pianeti associati ai corrispondenti metalli:[7] Saturno-piombo, Giove-stagno, Marte-ferro, Venere-rame, Luna-argento, Mercurio-mercurio. Tale sequenza viene forse ripresa dal testo Commentatio de Pharmaco Catholico pubblicati nel Chymica Vannus del 1666. Ad ogni pianeta viene associato un motto ermetico, seguendo il percorso dal basso in alto a destra, per scendere dall'alto in basso a sinistra, secondo la direzione indicata dal motto in ebraico Ruach Elohim. La porta si deve quindi leggere come il monumento che segna il passaggio storico del rovesciamento dei simboli del cristianesimo essoterico verso il nuovo modello spirituale che si stava sviluppando nel Seicento.

Negli anni 80 lo stipite destro (per chi guarda) fu vandalicamente danneggiato con l'asportazione del simbolo cabalistico di Venere. Successivamente un restauro lo ripristinò.

La leggenda

Secondo la leggenda, trasmessaci nel 1802 dall'erudito Francesco Girolamo Cancellieri, un pellegrino chiamato stibeum (dal nome latino dell'antimonio) fu ospitato nella villa per una notte. Costui, identificabile con l'alchimista Francesco Giuseppe Borri, trascorse quella notte nei giardini della villa alla ricerca di una misteriosa erba capace di produrre l'oro. Il mattino seguente fu visto scomparire per sempre attraverso la porta, ma lasciò dietro di sé alcune pagliuzze d'oro, frutto di una riuscita trasmutazione alchemica, e una misteriosa carta piena di enigmi e simboli magici che doveva contenere il segreto della pietra filosofale.

Il marchese cercò inutilmente di decifrare il contenuto del manoscritto con tutti i suoi simboli ed enigmi, finché decise di renderlo pubblico facendolo incidere sulle cinque porte di villa Palombara e sui muri della magione, nella speranza che un giorno qualcuno sarebbe riuscito a comprenderli. Forse l'enigmatica carta potrebbe riferirsi, per concordanze storiche e geografiche, attraverso il passaggio di mano fra alcuni appartenenti al circolo alchemico di villa Palombara, al misterioso manoscritto Voynich, che faceva parte della collezione di testi alchemici appartenuti al re Rodolfo II di Boemia e donati da Cristina di Svezia al suo libraio Isaac Vossius, finiti nelle mani dell'erudito Athanasius Kircher, uno degli insegnanti del Borri nella scuola gesuitica.

La storia

Giuseppe Francesco Borri fu accusato dalla Santa Inquisizione di eresia e veneficio nel 1659. Datosi alla fuga, dopo una vita avventurosa passata in varie città d'Europa dove esercitò la professione medica, fu arrestato e restò recluso a Roma nelle carceri di Castel Sant'Angelo tra il 1671 e il 1677. Quando gli fu concesso il regime della semilibertà dal 1678, riprese a frequentare il suo vecchio amico Massimiliano Palombara (1614-1685) che lo ospitò nella sua villa negli anni successivi fino alla sua morte avvenuta nel 1685. Tra gli anni 1678 e 1680 Borri e Palombara fecero le iscrizioni enigmatiche, e di certo si sa che almeno una scritta della villa (quella sopra l'arco della porta in via Merulana) risale al 1680.

Borri fu di nuovo recluso a Castel Sant'Angelo dal 1691 dove sarebbe morto nel 1695; eppure a soli tre anni dopo risalirebbe la nascita presunta di uno dei più misteriosi personaggi del Settecento: il Conte di San Germano, un leggendario alchimista che avrebbe trovato il segreto dell'elisir di lunga vita, e la cui esistenza si sovrappone in parte con quello del mago Cagliostro che a sua volta dichiarava di essere vissuto due secoli. Il confronto tra i ritratti di Francesco Giuseppe Borri e del Conte di San Germano, pur separati da almeno un secolo, mostrano, secondo alcuni, lineamenti compatibili con quelli della stessa persona.

Fonte: Wikpedia
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