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OFFICINA ALKEMICA: seconda parte

Ultimo Aggiornamento: 14/06/2022 09:19
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Il controllo del respiro

Vi è come un sistema autoprotettivo naturale: può svegliare kundalini soltanto un forza non minore a quella occorrente per il compito di purificazione: una forza che non sia adeguata al compito di purificazione, salvo casi eccezionali, non saprebbe svegliare kundalini. (Julius Evola, L'uomo come potenza)

Nonostante l'affermazione di Evola sia sicuramente esatta, occorre rilevare che nell'ambito di una « via violenta » è possibile che l'individuo sviluppi un desiderio di risveglio tale da essere capace di impiegare una forza di volontà extra-normale e suscitare in sé, attraverso delle tecniche, una potenza in grado di smuovere kundalini dal suo sonno.

Se egli indirizzasse tale superiore desiderio nel lavoro alchemico consueto il successo sarebbe assicurato, e per di più senza dover correre i rischi inerenti l'applicazione di tecniche violente. Ma se particolari circostanze estreme non gli consentono di intraprendere una via più sicura, il controllo del respiro potrà fungere da ponte verso mondi altri.

All'inizio il neofita si ponga in una posizione comoda, in un luogo tranquillo e poco illuminato, meglio se illuminato solo dalla luce di una candela, e porti l'attenzione sul suo respiro. Egli deve limitarsi a osservare il suo naturale processo di respirazione senza alterarlo in alcun modo. Deve solo preoccuparsi di respirare coscientemente.

La pratica di respirare coscientemente si trova in diverse tradizioni, anche in quella occidentale della Gnosi. Tenere l'attenzione focalizzata sul proprio respiro mentre si è seduti in meditazione o, ancora meglio, focalizzarsi sul respiro nel corso della giornata ogni volta che si riesce a ricordarselo, durante le normali attività quotidiane, è un metodo efficace che conduce velocemente in stati superiori di coscienza.

Va da sé che il solo fatto di dedicare attenzione al proprio respiro, cosa che in condizioni normali l'uomo mai si degna di fare, lo altera già in una certa misura. Ciò accade naturalmente ed è giusto che avvenga; è però essenziale che, in questa prima fase, il praticante non si sforzi di modificarlo lui stesso coscientemente.

Il corpo deve rimanere immobile, ciò che vien detto tronismos (=capacità di restare immobili sul trono, in stato di meditazione, che caratterizzava i faraoni egizi iniziati). In questo stato di fissità si deve svolgere il processo di respirazione.

Solo quando l'apprendista è in grado di osservare il proprio respiro in uno stato di presenza per diversi minuti senza venire distratto da associazioni di pensiero e dialoghi immaginari che si svolgono all'interno della sua mente, allora può passare alla fase successiva.

A questo punto il tempo di ritenzione la pausa tra il movimento di inspirazione e quello di espirazione - deve cominciare a diventare sempre più lungo. Tale pausa di ritenzione è conosciuta come matra (=misura) dagli indù.

Mantenendo una postura fissa e ritenendo il respiro per periodi di tempo sempre crescenti si acquisiscono siddhi ( poteri magici ) sempre più straordinari, fino a giungere alla sospensione dell'invecchiamento e all'immortalità assoluta, al di là della dissoluzione universale ( maha-pralaya ). Secondo i più antichi scritti dell'alchimia indù, il grado di progresso è dato dalla lunghezza del tempo in cui si riesce a trattenere il respiro. Si deve procedere con cautela, cercando di aumentare ogni giorno il numero dei secondi che caratterizzano la durata della fase di ritenzione.

Secondo quanto riportato nell'Amanaska Yoga (citato ne "Il corpo alchemico" di D.G. White, pagg. 335-338): "...Quando si è in grado di trattenere il respiro per 12 minuti la kundalini si rafforza e si risveglia iniziando la sua ascesa; dopo 96 minuti si raggiunge una condizione estatica; dopo tre ore l'assunzione di cibo e la produzione di escrementi sono notevolmente ridotte; dopo sei ore si manifesta la luce della propria anima; ...dopo otto giorni, la cessazione di qualsiasi senso di fame e di sete; ...dopo dodici giorni, la capacità di muoversi sulla Terra a proprio piacimento; dopo tredici giorni, il potere del volo; ...dopo ventidue giorni, il compimento di tutti i desideri; ...dopo ventotto giorni, si può piegare l'universo ai propri voleri; ...".

Quanto tali valori numerici vadano presi alla lettera è difficile dirlo. In ogni caso è certa l'esistenza di un legame direttamente proporzionale fra la durata della ritenzione del respiro e l'acquisizione di poteri sovranaturali quali la visione astrale, lo sdoppiamento astrale, la materializzazione di oggetti, la cessazione dell'invecchiamento, ecc.

Lo studioso avveduto può facilmente intuire quanto tale tecnica possa risultare pericolosa, nonché perfettamente inutile quanto alla possibilità di acquisire le siddhi, laddove il neofita non la conduca sotto la supervisione di un iniziato che lo istruisca riguardo le modalità e i tempi della pratica.

Basti dire che l'attitudine a ritenere il respiro si trova in rapporto diretto con la capacità di ritenere i pensieri, cioè di avere sotto il proprio controllo la caotica attività della mente grazie all'utilizzo della ferma concentrazione o del ricordo di sé. Il potere di controllo sulla respirazione altro non è, a livello analogico, che la conseguenza di un già acquisito potere di controllo sull'attività della propria mente.

Controllo che si ottiene nel corso della prima fase di questa tecnica, quando l'attività respiratoria va semplicemente osservata in stato di ricordo di sé, cioè portando l'attenzione sia sul respiro che sulla propria presenza.

Per cui, se il praticante decidesse in maniera sconsiderata di sforzarsi di ritenere il respiro nella speranza di acquisire poteri, non farebbe altro che mettere il carro davanti ai buoi confondendo la causa con l'effetto.

Nel tentativo di trattenere il respiro in maniera innaturale non otterrebbe né la calma della mente, né le tanto agognate siddhi, bensì, perseverando in tale folle proposito, andrebbe sicuramente incontro ad allucinazioni e altri danni psichici e fisici.

Non si devono mai produrre sforzi volti a frenare e inibire i pensieri, ma solo limitarsi a osservarli come testimoni distaccati. Il testimone per il fatto stesso di osservare modifica inevitabilmente gli oggetti osservati. Il lavoro su di sé è basato sullo sforzo di esserci, e mai sullo sforzo di modificare qualcosa: ciò deve rimanere sempre ben chiaro!


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